Viaggio nelle case infestate

Autori: Diego Altobelli, Rosario Sparti, Cecilia Strazza, Federica Aliano, Chiara Guida,

Martina Ponziani, Davide Cantire

Prefazione di Stefano Bessoni – Illustrazione: Livio Squeo

Le case infestate sono tra i luoghi più affascinanti e inquietanti del cinema, veri e propri scrigni di segreti e terrore che si annidano dietro mura antiche, soffitti scricchiolanti e stanze oscure. Da La casa sulla scogliera, passando per le moderne rivisitazioni di Beetlejuice e The Conjuring, questi luoghi riescono a condensare paure universali e intime, raccontando storie di spettri che incarnano il lato oscuro dell’animo umano. Dead Souls è un viaggio in questo universo di ombre e presenze eteree.

Come un insetto intrappolato nell’ambra (estratto dalla prefazione del libro)

di Stefano Bessoni

Che cos’è un fantasma? Un evento terribile condannato a ripetersi all’infinito. Forse solo un istante di dolore. Qualcosa di morto che sembra ancora vivo. Un sentimento sospeso nel tempo. Come una fotografia sfocata. Come un insetto intrappolato nell’ambra. Con queste intense parole si apre La spina del diavolo (2001) di Guillermo del Toro, film che regala una delle visioni più poetiche, quanto efficaci, sul concetto di spettro e di casa infestata. Ma questa è soltanto una delle innumerevoli pellicole che si interrogano sul mistero dell’anima dopo il trapasso e dell’attaccamento a quei luoghi che hanno visto la vita e spesso anche la morte, generalmente traumatica, prematura, causata da eventi violenti o dolorosi.

Lo stesso Del Toro tornerà a indagare anni più tardi su questo ammaliante argomento in Crimson Peak (2015), aggiungendo nuove visioni e tanta poesia gotica, strizzando l’occhio ai vecchi capolavori della Hammer Film Productions. Che la cattura delle immagini, fisse o in movimento, abbia fatto dello spettro un soggetto d’eccellenza è una certezza assoluta. Basta pensare alle tante fotografie di fantasmi dell’epoca vittoriana, ai mirabolanti spettacoli di phantasmagoria in auge all’inizio dello scorso secolo in Francia e in Inghilterra, o agli innumerevoli filmati, su pellicola prima e su supporto magnetico dopo, di manifestazioni spettrali realizzati durante le sedute spiritiche, con tanto di ectoplasma e altri rivoltanti fluidi ultraterreni. Il cinema ha sempre subìto la fascinazione delle vicende di spettri e defunti inquieti, fin dagli albori della sua storia e il mezzo cinematografico si è paradossalmente trasformato, film dopo film, in una scienza anomala che investiga sull’esistenza della vita dopo la morte, facendo della sospensione dell’incredulità uno strumento di indagine per ipotizzare teorie e interpretazioni, che magari un giorno potrebbero anche rivelarsi corrispondenti alla verità.

Si teorizza che l’anima di un defunto sia sempre legata a un luogo, o quantomeno a un elemento contenitore. Difficilmente si sente parlare di spettri vagabondi privi di “guscio”, perché lo spazio fisico diverrebbe una sorta di bolla spazio-temporale, nella quale il trapassato rivive all’infinito un evento, o cerca la risoluzione di qualcosa che gli impedisce la serenità ultraterrena e quindi il passaggio definitivo. Lo spettro è sempre un qualcosa di imperfetto, di acerbo, rimasto intrappolato in una dimensione per lui incomprensibile, straniante, a volte soffocante. Molti spiritisti chiamano le anime inquiete larve, proprio come gli stadi ancora non sviluppati degli insetti, parallelo estremamente pregnante, perché prevede il difficile raggiungimento di uno stadio successivo, agognato ma non scontato. A tutti è capitato di vedere in una pineta nel caldo dell’estate la neadide svuotata e trasparente di una cicala, ma forse pochi si sono soffermati a pensare che quelle spoglie fragili rappresentano la traccia di un passaggio cruciale e traumatico e sono paragonabili alle ossa, o ai poveri resti di un defunto rinvenuti per caso tra le mura di una casa infestata, dopo che l’anima inquieta è finalmente riuscita a effettuare il fatidico passaggio verso la luce o verso le tenebre.

Il filosofo svedese Emanuel Swedenborg (1688 – 1772), considerato uno dei padri fondamentali dello spiritismo e con riconosciute doti di medium, definì per primo l’esistenza di un territorio di transizione tra la vita terrena e l’aldilà. Tale luogo prese il suo nome, ovvero Spazio o Camera di Swedenborg, caratterizzato da un confine labile, transitabile e percepibile a volte anche dai vivi dotati di particolare sensibilità. Stranamente l’unico a fare uso cinematograficamente del concetto esatto di Camera di Swedemborg è stato il controverso Lars Von Trier, nel suo The Kingdom – Il Regno (1994), un’inusuale serie televisiva incentrata sulle anime inquiete in un ospedale danese, costruito su una palude maledetta, che aveva visto in passato le vicende tragiche dei tintori di tessuti. In particolare tra le fredde pareti dell’istituto si ode il pianto straziante dello spettro di una bambina imprigionato nella tromba dell’ascensore. Il luogo in cui si annidano gli spettri è divenuto nel cinema un personaggio fondamentale, così rilevante da essere a volte più importante delle stesse presenze a esso legate. La casa infestata è ormai un elemento cardine dell’espressione cinematografica, in particolare di quello di genere, ma non solo. Attorno a case, ville, castelli e magioni, sono stati escogitati meccanismi e dispositivi narrativi in grado di turbare, spaventare, inquietare, facendo spesso leva sul concetto di perturbante teorizzato da Sigmund Freud nel 1919, che utilizzò il termine tedesco heimlich (da heim, casa) per indicare qualcosa di tranquillo, familiare, confortevole, contrapposto a unheimlich, che significa invece non familiare, inconsueto, estraneo e che quindi suscita una forma di spavento profondo, spesse volte inconsapevole, in grado di far riaffiorare paure ancestrali, timori infantili e traumi rimossi.

Nel racconto cinematografico una casa infestata appare all’inizio sempre familiare e confortevole, quasi un sogno per i novelli e ignari inquilini, per poi rivelarsi nel corso della storia terribilmente ostile, per non dire fatale. A volte sono le stesse case a coincidere con il fulcro dell’inquietudine, rivelando un’anima oscura, viva, pulsante, non necessariamente legata a presenze o spettri, che trasforma, divora e fagocita chi si insedia o si avventura tra le dolenti mura. Basti pensare a L’inquilino del terzo piano (1976) diretto e interpretato da Roman Polanski in stato di grazia e tratto dal romanzo claustrofobico e disturbante di Roland Topor; in questo film il povero e mite protagonista, il signor Trelkowski, viene letteralmente “usato” dall’appartamento e spinto infine al suicidio, com’era avvenuto per la locataria precedente e come si intuisce che avverrà con i successivi. Il tema della casa infestata si mescola, con la possessione, la follia e la persecuzione, divenendo il perno centrale di quella teoria del complotto che tornerà in molte opere di Polanski.

Anche l’Overlook Hotel di Shining (1980) di Stanley Kubrick può essere considerato una casa maledetta dotata di un’anima famelica e maligna, certo, densamente popolata di spettri, ma che in realtà sono scorie irrequiete della sua costante attività alimentare; Jack Torrance e la sua famiglia sono solamente l’ultimo di una serie di piccole insignificanti prede di una voracità malefica, smisurata e subdola.